[ nota di Massimo Florio ]
Soprattutto nei suoi ultimi scritti Giorgio Fuà era tornato a riflettere sulla fallacia, e al tempo stesso sulla utilità, della misurazione della crescita, adottando la prospettiva del benessere economico.
Ad esempio, egli osservava come la relazione fra speranza di vita e Pil fosse stretta nelle fasi iniziali dello sviluppo e poi tendesse a divenire molto più debole. A parità di reddito pro-capite convenzionalmente misurato, il bene di tutti più prezioso, una vita di buona qualità, diviene significativamente variabile in paesi diversi. Questo richiede una nuova attenzione a indicatori di benessere diversi dal Pil, e sotto questo profilo anticipava una ricerca che in ambito internazionale resta estremamente attuale.
Diversamente da altri economisti Fuà non propendeva per la costruzione di indicatori sintetici di benessere, ma sosteneva l’importanza di isolare comunque alcuni indicatori misurabili. Il tema periodicamente ritorna nel dibattito sugli obiettivi che dovrebbero essere perseguiti dalle organizzazioni internazionali, ed anche recentemente in una commissione di studio di alto profilo in Francia.
Questo filone di indagine merita di essere riproposto in Italia, non come esercizio astratto, ma come tema concreto connesso al ruolo della politica economica e più in generale della politica sociale.